Nella colonizzazione della regione Transpadana, i fieri salassi di stirpe Taurisca (celto-liguri) secondo Catone, dapprima vittoriosi furono vinti nel 140 a.C. da Appio Claudio Pulcro, in seguito furono necessarie altre spedizioni di contrasto da parte dei Romani, ma essi rimasero padrone dei monti, controllando i passi alpini e conducendo continue azioni di disturbo.
La spinta a colonizzare la regione Transpadana, forse, non era voluta così unanimemente dal senato romano se ci vuole un “ordine” dei “Libri Sibillini”, come ci racconta Plinio, affinché la colonia romana di Eporedia fosse fondata nel 100 a.C.
Solo con la vittoria di Aulo Terenzio Varrone Murena e la fondazione di Aosta (Augusta Praetoria nel 25 a.C.) e con i Salassi sopravvissuti allo sterminio venduti all’asta a Eporedia, si giunse alla loro possibile assimilazione, alla cosiddetta pax augustea.
Fu la prima colonia romana del Piemonte nord-occidentale ed anche l’unica di diritto romano: i coloni Romani inviati ad abitarvi erano iscritti alla Tribù Pollia. Il nome Eporedia deriverebbe dalla voce Gallica “epo” (cavallo) e “reda” (veicolo gallico a quattro ruote): la voce può assumere il significato di “insieme di carri equestri” e Plinio riferisce che i Galli chiamano Eporedias i bravi domatori di cavalli. L’evoluzione del toponimo in Euria / Evria è già attestata nel VI secolo d.C.
Eporedia sorse in un punto della valle della Dora Baltea dove le due rive potevano agevolmente essere collegate da un ponte. Era un posto ideale sia per azioni offensive sia per la difesa dell’insediamento, posto a capo di una fertile pianura e a controllo dell’itinerario obbligato per i valichi del Piccolo e Gran San Bernardo. La fondazione era anche finalizzata al controllo delle numerose attività minerarie coltivate dalle popolazioni locali fino all’assoggettamento da parte dei Romani ed in particolare della immensa miniera d’oro a cielo aperto, conquistata già nel 143 a.C. (attualmente visibile nel versante biellese dell’anfiteatro morenico: le Aurifodine della Bessa).
A partire dall’età Augustea Eporedia si afferma progressivamente come stazione di cambio cavalli e nodo commerciale privilegiato per il convogliamento e la ridistribuzione di materie prime e prodotti finiti tra pianura padana e arco alpino. Ne consegue un periodo di benessere per tutta la comunità, che è in grado di investire in infrastrutture e opere pubbliche.
La città romana, posta su un complesso di alture di rocce dioritiche prospicienti il punto più stretto della valle della Dora Baltea, non poter rispettare la classica struttura regolare mutuata dagli accampamenti militari. Osservandola dal lato destro della Dora, possiamo immaginare un impianto urbanistico su terrazze digradanti verso il fiume e dominato dalla acropoli su cui si trovavano il tempio e i principali edifici pubblici (area dove poi sarà collocata la Cattedrale).
Tratti di basolato stradale consentono di identificare nel tracciato di Via Palestro il decumano massimo della città e la posizione di alcuni cardini, che erano a tratti sfalsati per evitare un’eccessiva portata delle acque piovane che scorrevano in pendio verso il fiume.
Il teatro, databile al I secolo d.C., venne addossato al pendio roccioso sottostante l’acropoli, secondo un impianto scenografico ellenistico, con i gradini in gran parte tagliati nella roccia e in parte sostenuti da sostruzioni in muratura. I suoi resti, venuti alla luce tra il 1833 e il 1836 durante i lavori di ristrutturazione del Palazzo della Congregazione di Carità in Piazza di Città, furono demoliti – anche con l’uso di esplosivi – per far posto a nuovi locali cantinati. Sopravvivono oggi solo tratti di murature nelle cantine oltre a quelli visibili dal vicolo che segue la curva dell’antica cavea, destinata ad accogliere gli spettatori.
Eporedia era una città d’acque, delimitata a nord da un bacino lacustre (il “lago di città”, bonificato in età contemporanea, dove oggi sorge il piazzale del mercato) e a sud dal corso della Dora, la cui portata viene potenziata proprio in epoca romana ampliando il taglio della roccia in corrispondenza del Ponte Vecchio. Questo si imposta sui resti del più antico ponte romano, sorto nel punto più stretto. In seguito venne costruito il monumentale Pons Maior a 10 arcate i cui resti sono emersi nelle alluvioni a partire dal 1977 in corrispondenza del palazzo della Polizia di Stato (ex convento di San Francesco). A questo erano collegati una banchina fluviale su palificate lignee e le strutture degli argini che dovevano servire a contrastare i cambi di livello del fiume e a consentire un più agevole movimento per l’attracco delle imbarcazioni.